Il mondo saluta Mohamed Ali, colui che «Vola come una farfalla e punge come un’ape»

lug16_aliIl 3 giugno il mondo intero ha pianto la scomparsa di Muhammad Ali, il più grande tra i più grandi. La sua figura andava ben oltre lo sport della boxe, disciplina in cui ha vinto e rivinto tutto ciò che c’era da vincere. Perchè Muhammad Ali, nato Cassius Marcellus Clay Jr. a Lousville (Kentucky – USA) il 17 gennaio 1942, con il suo carisma e la sua attenzione ai temi sociali è riuscito, negli anni, a sprigionare una forza mediatica pari alla sua forza fisica. Una forza, dentro e fuori dal ring, tremendamente grande. Ali è stato sicuramente lo sportivo più seguito ed ammirato del secolo scorso. Di lui bisognerebbe scrivere tre biografie: quella dell’uomo, dello sportivo campione e del personaggio mediatico. Cassius camminò sul tetto del mondo con la medaglia d’oro ai giochi olimpici di Roma ‘60 e quattro anni dopo conquistando il titolo mondiale dei pesi massimi. Giovane ma già vincente. E non solo: durante i suoi primi anni di carriera, Clay era solito “sfottere” gli avversari prima di batterli puntualmente sul ring. Definì Jones “un piccolo uomo brutto” e Cooper “un inesperto”. Disse addirittura che Madison Square Garden era un’arena “troppo piccola” per lui. Un ego straripante fuori dal ring, una furia altrettanto straripante dentro il ring. In quegli anni Cassius Clay si avvicinò all’Islam, unendosi alla setta afroamericana Nation of Islam. Cambiò legalmente il suo nome in Muhammad Ali. All’apice del suo successo, la carriera di Ali subì un duro colpo quando, chiamato alle armi, si rifiutò di partire per la guerra in Vietnam. Celebre la sua frase «Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro». Si, perchè in patria, quando Cassius era ancora un giovane ragazzone agli inizi della carriera, aveva subito più di un episodio di discriminazione razziale. Questo rifiuto gli costò caro: via la licenza da parte delle commissioni atletiche pugilistiche statunitensi e stop ai combattimenti. Fortunatamente per lo sport ed il mondo, Muhammad Ali tornò sul ring nel 1971 per quello che all’epoca fu definito “L’Incontro del Secolo”… perdendolo contro Joe Frazier. Ali si sarebbe poi riscattato battendo George Foreman nel 1974, che a sua volta aveva già sconfitto Frazier. L’incontro tra Foreman e Ali fu epico, e vide il campione di Lousville vincere all’ottava ripresa. Altra pagina indimenticabile della sua carriera fu il match del 1975 contro Frazier, che venne battuto in seguito ad uno dei match più brutali e violenti. Poi, il lento declino: da una parte l’età, dall’altra i primi accenni di un male terribile e incurabile. Ali abbandonò definitivamente il ring nel 1981. Tre anni dopo i medici gli diagnosticarono il morbo di Parkinson, con cui ha lottato strenuamente fino all’ultimo dei suoi giorni, arrivato il 3 giugno 2016. Una scomparsa che lo ha definitivamente trasformato in una leggenda dello sport ed un’icona del nostro tempo. Il suo stile di combattimento è, e probabilmente rimarrà, semplicemente inimitabile: velocità di movimenti di gambe e busto, dinamicità e prontezza di riflessi senza eguali, nonostante un’altezza di 191 centimetri. Sul ring “ballava” letteralmente, disorientando gli avversari prima con i suoi movimenti, poi con i suoi micidiali colpi. Una volta riacquisita la licenza dopo la questione Vietnam, Ali non era più in grado di danzare come un tempo, ma la sua tecnica eccellente e la sua grande forza gli permisero di continuare a vincere ancora per molti anni. Muhammad Ali non c’è più, ma negli occhi di tutti rimarrà sempre l’immagine di una grande uomo e di un gigante del ring. Un pugile che «vola come una farfalla e punge come un’ape» ed un grande del nostro tempo.

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