Villa di Bellavista esempio “SOBRIO” di Barocco e Rococò

mar17_villabellavistaNon potrà essere pienamente obiettivo, privo di faziosità o pudore, il racconto di quest’og­gi: straordinario esempio di Architet­tura toscana Barocca coinvolgente e scenografica ma anche, insospetta­bilmente sobria ed armonica al limite del severo.

Due assi di scala urbanisti­ca ed architettonica ne delineano l’u­bicazione e la esemplare simmetria: via Livornese (che unisce da nord a sud Buggiano con Chiesina) e il viale d’accesso alberato arricchito di opere plastiche, perfettamente perpendico­lare al primo, in leggera enfatizzante ascesa, che si prolunga in direzione est fino ad intersecare via Ponte Buggia­nese ed in direzione ovest fino a con­giungersi con via XXIV maggio già del Busoni.

Segni leggeri ed al contempo così autorevoli e puri, connotativi. Se ci penso bene dal 2 febbraio ’64 ad oggi, quasi non ho ricordi che non sia­no incorniciati dalla sagoma della Villa del Marchese Francesco Feroni che lì si erge elegante e solenne dal lonta­no 1696.

Erano quelli anni in cui le fa­miglie più in vista dell’alta aristocrazia dominante, gareggiavano nel realiz­zare palazzi in città e sontuose ville in campagna (sulla scia dell’ineguaglia­bile Reggia di Versailles di Luigi XIV “Re Sole” su progetto di Mansart e Le Notre o della nostrana Reggia di Caserta di Carlo Borbone su progetto del magi­strale Luigi Vanvitelli) per affermare il loro status sociale affidando la pro­gettazione appunto agli Architetti più in voga del tempo.

Qui in Buggiano, il progetto architettonico del conteso Antonio Maria Ferri, raggiunge livelli stilistici di compiutezza, equilibrio e sobrietà veramente pregevoli, degni degli episodi più alti dell’Arte toscana e della scuola classica dell’Ammanna­ti da cui proveniva. Con fatica cerco di distinguere il racconto della bella Architettura da quello personale ad essa legato.

Non riesco a trattenere il fiume di ricordi…degli anni’60-70 le interminabili partite di calcio mono tempo nel campetto sotto la Cappella gentilizia (a pianta centrale, porticata, sormontata dall’elegante cupola), del “glorioso santamaria”, sospese solo per carenza o addirittura totale assenza di luce diurna, o le improvvisate quanto improbabili sedi di neo-gruppi come il G.E.V.I. (Giovani Esploratori Volenterosi Interessati) nei dedali degli scantinati perimetrali.

Più struggente, il ricordo di tanto avvincenti quanto dubbie, battute di caccia al fagiano o alla vol­pe, nel parco e boschetto adiacenti la villa. Il tutto naturalmente con il mio fedele Bambi, raffinato ed affettuoso setter irlandese da riporto color moga­no, di soli pochi centimetri più basso di me, spesso sotto pioggia battente.

L’equipaggiamento consisteva nell’in­separabile elmetto tedesco in plastica e la rassicurante carabina ad aria com­pressa con tappi di sughero entrambi acquistati, s’intende, all’ultima fiera in selva dall’Elissa (infinitamente indul­gente mamma) per i rari meriti disci­plinari. Meta, più tardi negli anni ’80, segreta, confidente e discreta di que­gli “attimi di infinito” rubati al tempo… tra impacciate dichiarazioni d’amore eterno e palpitanti, acerbe…esplora­zioni antropomorfe. Da universitario poi, con i cari amici Corrado Agostini, Claudio Gariboldi e Gianni Cerchiai, ci avventurammo nel suo impegnativo Disegno e Rilievo sotto la guida del Professor Gurrieri. Credo ancora oggi la più recente restituzione grafica del complesso.

Nel ‘93 è stata la suggestiva ambientazione del servizio fotografico matrimoniale quando anche la bom­boniera ne riproduceva, nella stampa che qui vi ripropongo, una mia china acquerellata… ed ancor oggi sorve­glia, dalla sua sommità, gli esiti incer­ti… sempre appaganti… della mia av­ventura terrena. Fin dai primi ingressi furtivi sono stato totalmente cattura­to dal suo decoro interno, affidato al Pier Dandini, più conteso artista fra le famiglie medicee maggiormente in vista del tempo, per gli affreschi in sti­le barocco e Niccolò Nannetti, allievo del Gherardini, per le due sale dopo le alcove in gusto più rococò (autore anche della bella Madonna in Gloria esposta nella vicina chiesa del Con­vento dei frati Agostiniani).

Per le de­corazioni plastiche invece l’artista di maggior spicco che opera a Bellavista è Giovan Battista Ciceri, legato allo stile scultoreo barocco romano. Alle sue mani e alla sua bottega si devo­no anche gli stucchi della raffinata Cappella, delle due tele (trafugate!) del salone a doppio volume centrale oltre che gli stucchi bianchi e dorati delle due alcove, (che però non era­no previste nel progetto originario del Ferri). Deliziosi i due bassorilie­vi raffiguranti “Venere e Adone” e “Selene e Endimione”, che decora­no una delle due alcove mentre per l’altra realizza due statue raffiguranti Paride e Giunone.

Prima di congedar­mi voglio ricordare che anche la Fiera in Selva, prossima festività in calenda­rio, la più antica festa popolare della Valdinievole (le prime notizie risalgo­no al 1367 quando Coluccio Salutati ne fu eletto “Ordinatore”), ne ha integra­to e coinvolto, saltuariamente, le aree esterne ed interne, favorendone così una percezione non solo come opera monumentale da contemplare este­riormente da spettatori, ma anche e soprattutto, come architettura simbo­lo, autorevole e fiera da “vivere come propria” da protagonisti, un’altra Alta rappresentante del nostro affascinane ed impareggiabile territorio.  Se vuoi segnalare Bellezze dimentica­te, nascoste, restaurate o violate con­tattami.

 

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