Tuvalu, la moderna Atlantide dell’oceano Pacifico

C’è un piccolo paradiso nell’oceano Pacifico, a circa 3.400 chilometri a nord est dell’Australia. Composto da nove tra isole e atolli corallini per un totale di 26 chilometri quadrati e poco più di 11mila abitanti, questo arcipelago porta il nome di Tuvalu, ed è il terzo paese meno abitato al mondo. Un vero e proprio paradiso, dicevamo, dove l’oro della finissima sabbia delle spiagge è a tratti punteggiato da palme verdeggianti e il turchese delle lagune di limpida acqua lascia il posto sulla linea dell’orizzonte al profondo blu del cielo. Sulle spiagge depongono le uova le tartarughe verdi, mente il corallo vicino alla costa, anche se non è più brillante come un tempo, offre ancora rifugio a molte specie di pesci di scogliera dai colori vivaci. Gli abitanti di queste isole si distinguono per la cortesia e l’ospitalità tipicamente polinesiana. Saranno sempre pronti a coinvolgervi nella loro vita sociale, nei loro giochi, nelle loro conversazioni, le loro danze vi intratterranno la sera. Per i fortunati turisti che arrivano in aereo, meno di mille ogni anno, le isole e gli atolli di Tuvalu appaiono dall’alto come dei pezzetti di terra che galleggiano a filo d’acqua, e non potrebbe essere più vero di così: oltre 10mila abitanti di Tuvalu, infatti, vivono ad una altezza inferiore a 2 metri sopra il livello del mare. Oltre a essere uno dei paesi più piccoli al mondo, infatti, Tuvalu può considerarsi uno degli angoli più remoti della Terra e non riesce a oltrepassare, nelle sue “colline” più alte, i 5 metri di altitudine sul livello del mare. Un mare nemico, che per effetto dei cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale si innalza di almeno 6 millimetri l’anno ed erode spiagge, inonda villaggi, affonda alberi di palma, costringe gli abitanti ad abbandonare le loro case e rifugiarsi nell’interno, ricostruire le proprie vite sulle colline, sperare che il mondo si accorga finalmente di loro e trovi una soluzione ad un disastro annunciato. Un disastro che ha l’aspetto di lontani ghiacciai che si sciolgono inesorabilmente, innescando un effetto a catena che porta in queste aree di mondo cicloni devastanti e sempre più frequenti e inondazioni che si spingono ogni volta sempre più all’interno, invadendo i terreni divenuti ormai improduttivi e facendo si che la popolazione sia sempre più a corto di acqua dolce. Nel maggio 2004 circa 3mila donne e uomini di Tuvalu sono divenuti ufficialmente potenziali profughi climatici, ma la maggior parte delle richieste di asilo che gli abitanti dell’arcipelago inoltrano alla vicina Nuova Zelanda viene respinta, in quanto le norme sui rifugiati non riconoscono il riscaldamento globale come ragione di accoglienza. Il diritto internazionale, infatti, non prevede meccanismi che permettano a chi fugge dai disastri climatici di ottenere asilo in un altro Paese, perché non viene considerata la possibilità che a minacciare il diritto alla vita di un uomo possa essere non un altro uomo, ma la natura. La stessa situazione che vive Kiribati, un vicino arcipelago che di abitanti ne conta oltre 100mila. Tutti accomunati dalla stessa paura: quella di divenire il primo paese al mondo destinato a scomparire. Letteralmente. Secondo un recente studio stilato dalla Banca Mondiale, diffuso dal quotidiano britannico Guardian, se Australia e Nuova Zelanda aprissero le loro frontiere, circa 1.300 persone emigrerebbero ogni anno dai due arcipelaghi come misura di adattamento al cambiamento climatico, in una migrazione controllata e graduale che eviterebbe in futuro esodi forzati e problematici.

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